Sulla ridotta rappresentanza femminile all’interno dell’Esecutivo Regionale
CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA
Risposta scrittadel Presidente della Regione all’interrogazione Barracciu – Bruno – Uras – Salis – Agus – Ben Amara- Caria – Cocco Daniele Secondo – Cocco Pietro – Cucca – Cuccu – Diana Giampaolo – Espa – Lotto – Manca – Mariani – Meloni Marco – Meloni Valerio – Moriconi – Porcu – Sabatini – Sanna Gian Valerio – Sechi – Solinas Antonio – Soru – Zedda Massimo – Zuncheddu sulla ridotta ed iniqua rappresentanza femminile all’interno dell’Esecutivo regionale.
L’interrogazione in oggetto lamenta una presunta scarsa attenzione alle politiche di parità da parte della Giunta regionale, in particolare stigmatizzando l’assenza di una adeguata componete femminile nell’esecutivo regionale, invocando un “rimedio al forte sbilanciamento nell’attribuzione delle cariche”. Una tale posizione parte da un evidente pregiudizio non condivisibile secondo cui una tale composizione della Giunta sarebbe illegittima “in virtù dei principi costituzionali garantiti all’equa rappresentanza e alle pari opportunità”. La più recente giurisprudenza amministrativa (TAR Lombardia, prima sezione, sentenza n. 354/2011), proprio in relazione alla composizione di un esecutivo regionale, ha avuto modo di dimostrare infondata in casi analoghi una presunta violazione dei principi di democrazia paritaria fra uomini e donne nella vita sociale, culturale, economica e politica e dunque anche nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, nonché delle disposizioni normative poste a garanzia dell’equilibrio tra i sessi tra i componenti degli organi di governo.Giudici amministrativi hanno ritenuto che non può pervenirsi a una dichiarazione di illegittimità della formazione della Giunta regionale in quanto composta senza una rappresentanza di assessori di sesso femminile. Il modello delineato dalla Costituzione, anche così come poi modificato nel corso degli anni, pur postulando il principio generale di eguaglianza sostanziale fra uomini e donne nella vita sociale, culturale, economica e politica e dunque anche nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, non impone una composizione negli organi collegiali che preveda necessariamente una presenza di entrambi i sessi.
Anche secondo il pensiero della giurisprudenza costituzionale, il legislatore è certamente legittimato ad adottare misure legislative, volutamente diseguali, per eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica, o, più in generale, per compensare e rimuovere le disuguaglianze materiali tra gli individui, quale presupposto del pieno esercizio dei diritti fondamentali. Tali misure legislative non possono, tuttavia, mai incidere direttamente sul contenuto stesso di quei medesimi diritti, rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto tali. E’ stato, infatti, statuito che “in tema di diritto all’elettorato passivo, la regola inderogabile stabilita dallo stesso Costituente, con il primo comma dell’art. 51, è quella dell’assoluta parità, sicché ogni differenziazione in ragione del sesso non può che risultare oggettivamente discriminatoria, diminuendo per taluni cittadini il contenuto concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che si ritiene svantaggiato” (sentenza n. 422/1995). Le nuove disposizioni costituzionali relative all’art. 51 (cui si aggiunge l’analoga previsione dell’art. 117, settimo comma, della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001) hanno posto esplicitamente l’obiettivo del riequilibrio tra donne e uomini e hanno stabilito come doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni, riferendo specificamente alla legislazione elettorale il compito di perseguire la finalità della “parità effettiva” fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva; il modello delineato non ha valenza costrittiva, ma solo di promozione dell’auspicabile parità fra i sessi (sentenza n. 49/2003).
Anche in seguito alla riforma costituzionale dell’art. 51 della Carta, i diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati; vi è solo un’eguaglianza di opportunità particolarmente rafforzata da una norma che promuove, ma non induce coattivamente, il riequilibrio di genere nella rappresentanza elettiva (sentenza n. 4/2010). Sul punto specifico lamentato nell’interrogazione in oggetto relativo all’ “abrogazione” della legge statutaria della Sardegna che imponeva una quota minima per genere all’interno della composizione della Giunta regionale, si fa presente come una tale previsione legislativa stringente e vincolante relativa alle “quote” sia contraria nella sua impostazione a quanto fin qui espresso dalla giurisprudenza amministrativa sopra citata. Si rileva inoltre che ad ogni modo la legge statutaria, che conteneva queste previsioni, non è stata abrogata per una scelta deliberata da parte dall’attuale maggioranza politica né tantomeno per una presunta volontà discriminatoria nei confronti delle donne, quanto invece per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 149/2009 che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale. Relativamente poi alla Commissione regionale per le pari opportunità, istituita con la Legge Regionale n. 39 del 13 giugno 1989, e operativa dal 1992, si rappresenta che essa risulta essere al momento regolarmente costituita e operante. Ai sensi dell’art. 8 della L.R. n. 39/1989, la Commissione regionale per le pari opportunità ha presentato il programma operativo relativo all’anno 2011, approvato dalla stessa Commissione in data 14 marzo u.s. La Commissione prevede di realizzare interventi pari a complessivi €. 37.800. La Giunta regionale ha approvato il programma in oggetto, che prevede diversi interventi relativi su vari ambiti, con propria delibera n. 17/2 del 31 marzo 2011.
Ugo Cappellacci
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