articolo pubblicato sulla rivista Dialogo n.22 del 30 Novembre 2021
Il crollo del sistema sanitario pubblico, della più grande conquista sociale del 900, è il dramma che oggi colpisce i sardi. Chi ha governato la Sardegna nelle ultime legislature non ha difeso quella conquista di civiltà. Eppure, la sanità in Sardegna si paga dalle proprie casse con il 50% del bilancio regionale. Miliardi di euro dissipati per non garantire il diritto alla salute dei sardi e nello stesso tempo impoverendo tutti i settori della nostra economia.
La classe politica sarda, trasversalmente, ha la responsabilità di aver adottato decreti ministeriali a noi estranei e penalizzanti. Una schizofrenia politica che ha determinato il crollo degli ospedali territoriali e dei colossi della Sanità di Cagliari, al servizio di tutta la Sardegna.
Eppure, sulle macerie dei nostri ospedali, gli autori senza scrupoli rilanciano le proprie campagne elettorali per la conservazione del potere.
Gli ospedali svuotati di interi reparti e del personale sanitario crollano ovunque. I servizi territoriali sono chiusi. La mannaia della politica falcidia anche i medici di base. Per anni le sedi carenti non sono state bandite. Ad oltre 150 comunità manca questo importante riferimento. Eppure, sono oltre 200 i giovani medici formati che attendono l’attribuzione della titolarità. Ritardi ed errori della burocrazia accelerano lo smantellamento di ogni presidio sanitario. Intanto avanza la privatizzazione.
Il Mater Olbia, l’operazione neocoloniale araba, per volontà di tutte le bandiere politiche presenti nel Consiglio Regionale, continua a sottrarre risorse pubbliche. E’ tuttavia un affare quasi irrilevante di fronte all’avanzata delle multinazionali che rilevano cliniche convenzionate, laboratori di analisi ed RSA ovunque. Si profila l’era delle Assicurazioni e il diritto alla salute torna ad essere un privilegio di casta.
Cresce la lista di chi rinuncia alle cure per impossibilità ad avere persino le prescrizioni mediche.
L’aspettativa di vita dei sardi crolla. Già prima della crisi in corso, il 14,5% dei sardi rinunciava alle cure per ragioni economiche. Dati pesanti rispetto ad altre regioni d’Italia, ma oggi i dati sono ancora più gravi. Ai circa 1650 morti di Covid si aggiunge il bilancio non ancora definito dei decessi per le malattie non Covid, di certo non meno gravi e letali. Sono quelli a cui si nega l’accesso ai reparti, ai controlli specialistici, ai pronto soccorso. Sono pazienti cronici, acuti e i nuovi malati privati dello screening di prevenzione.
La crescita dello spopolamento, visto che in 304 comuni sardi su 377 i decessi superano le nascite, non viene contrastata garantendo più servizi, a partire da quelli sanitari. I criteri numerici adottati dai poteri decisionali sardi, come se la Sardegna fosse uguale alla Lombardia, non tengono conto delle nostre peculiarità demografiche, delle piccole comunità diffuse in territori vasti e con collegamenti difficili per l’orografia, nonché per le reti stradali e i trasporti a tutt’oggi tardo ottocenteschi.
La disgregazione culturale e la mancanza di una visione ampia del problema, spesso crea terreno fertile per i soliti “lupi vestiti d’agnello”. Infiltrati nelle piazze e nelle marce popolari, a due anni e mezzo dalle elezioni regionali, fingono di voler cambiare tutto per non cambiare niente. Intanto assistono alla consegna della sanità pubblica nelle mani dei privati.
La salute non è una merce da cui ricavare profitto. Le politiche sanitarie fortemente neoliberiste nelle ultime legislature, sono tese a produrre sofferenza e morte fra le nostre comunità.
Solo dalla consapevolezza dipenderà il cambiamento.
Claudia Zuncheddu portavoce della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica
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