Sa tragedia de s’aqua, poita?
E immoi , ita ant ‘a nai “is attitadoras” chi anti perdiu sa battalla po su “SI” a su referendum cuntrasa sa Lei “salva coste”?
Il dramma di Cagliari e del suo Hinterland è la storia della natura che attraverso le catastrofi si riprende i suoi spazi.
E’ la storia di fiumi ingabbiati, deviati e soffocati dal cemento, di territori distrutti, di donne e uomini morti e di politici mai responsabili di nulla.
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Cosa dicono oggi “is attitadoras” del “SI” all’ultimo referendum regionale sul Decreto Salva-Coste? …sul “mancato sviluppo economico” legato all’urbanistica nei nostri territori? – …Magari “trattasi di calamità naturale” e di inconvenienti vari causati dalla lentezza dei soccorsi…” (???)
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Per Cagliari e l’hinterland la “calamità naturale” è ormai divenuta un evento con carattere ricorrente e catastrofico, con danni imponenti e immediati alle popolazioni e all’ambiente. Questo ci deve imporre una seria riflessione.
Per l’ennesima volta ci troviamo di fronte a eventi “prevedibili” in quanto legati a “rischi cronici” derivanti dalle manipolazioni che l’uomo arreca all’ambiente: acqua, terra, aria sia a livello mondiale che locale.
Non è più possibile continuare a stupirci delle catastrofi annunciate e ampiamente prevedibili in quanto risposte di reazione del sistema ambiente alla violenza esercitata su di esso dall’uomo.
Le istituzioni in primis, non possono più ignorare l’importanza della prevenzione che consentirebbe di agire su “cause” e “concause” che giorno dopo giorno costruiscono le cosiddette “calamità naturali”.
La deforestazione incontrollata, il degrado e lo sfruttamento indiscriminato del territorio e delle sue risorse, con l’ ”urbanizzazione selvaggia” fuori da regole certe, sono elementi che espongono inevitabilmente al rischio di fenomeni catastrofici con alluvioni, straripamenti, frane per la scarsa tenuta del territorio.
Questa situazione di “degrado politico-culturale” alla base dei danni ambientali, richiede il passaggio obbligatorio ad una nuova cultura della legalità, tesa a garantire maggiori controlli sul nostro habitat.
– Abbattere la prassi politica dei Consigli comunali che decidono sul destino del territorio frettolosamente e sospettosamente nel cuore della notte alla chiusura della seduta.
– Quella del costruire all’infinito e ovunque, senza mai pensare che sarebbe più logico e più bello dare la priorità al “recupero dell’esistente”: patrimonio in decadenza nella maggioranza dei nostri centri storici e al rispetto della vocazione del territorio e del suo paesaggio in quanto “bene”.
– Condizionare fortemente il “profitto” che continua a dettar legge.
– Investire sulla tutela ambientale significa anche affrontare il problema degli incendi boschivi, visto che con l’impoverimento della copertura vegetale si creano incalcolabili danni sugli ecosistemi naturali con perdita di boschi e l’inevitabile danno faunistico.
Garantire quell’attività di ripristino normalmente disattesa, tipico della cultura di quest’era che vede la natura subalterna alle esigenze dell’uomo; i fiumi e le acque (pur riconoscendone l’importanza vitale) vengono considerati nemici da manomettere, da annientare o da ignorare.
E’ comprensibile come il “costruire selvaggio”, al di fuori di ogni regola di urbanistica e di programmazione del territorio abbia reso Capoterra come Pirri e altri centri dell’hinterland, delle situazioni di rilevante criticità per i rischi idrogeologici.
Sulla “schizofrenia politica”
Nel caso specifico di Capoterra, è bene ricordare che simili disastri, con perdite di vite umane, sono già avvenuti nell’84, 85 e nel 99, e che i temi dell’urbanistica sono stati all’ordine del giorno della cronaca nera con attentati in quegli anni ad assessori all’urbanistica e ad amministratori comunali per poi “miracolosamente” promuovere l’urbanizzazione di tutta quella fascia del proprio “territorio a mare”. Sarebbe interessante conoscere qualche dato in più sulla storia di quegli anni e probabilmente si potrebbe scoprire che gli studi idrogeologici e di protezione dell’ambiente sono stati inspiegabilmente e velocemente dimenticati e disattesi.
Come tutti sappiamo i consigli comunali votano i Piani Urbanistici per i propri territori ma è altrettanto vero che “spesso e volentieri” si creano altre maggioranze politiche, più o meno trasversali, che possono portare in Consiglio, sottoforma di varianti o di “tavolo di concertazione” o “accordi di programma” gli stessi temi e votare il contrario di ciò che è stato precedentemente stabilito da studi urbanistici e sancito con i PUC.
Il Consiglio Comunale è sovrano e se qualcuno volesse impugnarne gli atti, qualche difensore dell’ultima ora delle Leggi Salva coste, sicuramente griderebbe scandalo per un “attacco alla libertà delle autonomie locali”. Quella libertà che certe volte in modo disinvolto diventa la paga di morte per chi abita quelle parti del territorio, la distruzione economica e paesaggistica dell’area geografica stessa, ma anche il “Profitto per i soliti noti” e qualche ”osso per i cani da guardia”.
Sarebbe interessante sapere se l’espansione urbanistica attuale di Cagliari e quella prevista per il futuro, tiene conto dei vincoli idrogeologici e delle ultime normative in tema di urbanistica e protezione del territorio sia dei governi italiani che di quelli regionali.
Una riflessione generale non può non partire dal rapporto “uomo-natura”, relazione fortemente modificata da una cultura smaccatamente spacciata come “sviluppo e progresso”, di fatto funzionale alle logiche di dominio dell’uomo sull’natura.
L’inversione di tendenza con il ritorno ai vecchi modelli di “società agricole”, dove l’uomo era subordinato alla natura con la quale conviveva in armonia, è oggi più che mai un’urgenza che ci metterà nella condizione non solo di limitare le catastrofi “naturali”, ma forse è l’unica via che in un futuro prossimo ci consentirà di sopravvivere anche dal punto di vista alimentare e ambientale.
Claudia Zuncheddu
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