Sul Taglio al Numero dei Consiglieri Regionali
IL PERCHE’ DEL MIO “NO”
Consiglio Regionale 12/10/2011
Proposta di Legge Nazionale n. 12
Presentata dai Consiglieri regionali
Steri, Diana G., Diana M., Uras, Vargiu, Salis, Sanna G.
Modifica dell’art 16 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto Speciale per la Sardegna), concernente la composizione del Consiglio Regionale
“Tagli alla democrazia” spacciati per “tagli ai costi della Politica”
Tracce del mio intervento
Non potrò mai condividere una legge che mortifica e riduce la democrazia. In questo momento di grande crisi è come se la democrazia facesse paura. La classe politica sarda appare impaurita, così impaurita da arrivare a proporre leggi repressive. Ma a queste provocazioni i sardi sapranno rispondere, come in altri tempi, in modo pacifico e democratico.
A tutt’oggi la costituzione delle Commissioni del Consiglio regionale viene rimandata, come se fra i consiglieri del CD non ci fossero persone autorevoli per coprire le presidenze. Il problema è che in tempi di moralizzazione e di riduzione degli sprechi della politica, dobbiamo prendere atto che le presidenze sono legate a “spartizioni e alle relative indennità”.
Rinnovo l’invito alla Presidente Lombardo, a procedere ai tagli delle indennità di carica, così risolverebbe i problemi e consentire la ripresa dei lavori delle Commissioni.
Voglio pure ricordare che la Commissione Autonomia, non ha risposto alla mia richiesta sulla esclusione della mia proposta di legge sull’abbattimento dei costi della politica. Attendo risposta scritta. Con questa Legge, la classe politica sarda continua a perpetuare la sua storica sudditanza, e sta permettendo che in Sardegna passi ciò che i “padroni del vapore”, quelli della globalizzazione mondiale, vogliono che avvenga e cioè, uscire dalla crisi limitando la democrazia e facendo pagare la crisi agli strati sociali e alle economie più deboli, e non alle banche e alle multinazionali. La gestione della crisi economica mondiale (secondo gli analisti internazionali), non può prescindere da una diminuzione sostanziale dei livelli di democrazia nei singoli Paesi.
Questo è il diktat che il governo della finanza mondiale vuole imporre in Europa a tutti gli Stati sull’orlo del fallimento, un fallimento generato dalle stesse logiche della globalizzazione, come la “delocalizzazione delle imprese”, la “rapina delle risorse economiche e ambientali”, la “distruzione dei territori e delle loro economie”, nonché l’uso scellerato del debito pubblico dei singoli Stati all’interno delle turbolenze e delle speculazioni finanziarie mondiali.
La Sardegna, “colonia interna italiana e non solo”, oggi più che mai è al centro di queste dinamiche.
Affinché tutto vada, secondo le logiche previste da ristrette oligarchie internazionali, è necessario che i livelli di democrazia partecipata vengano drasticamente tagliati, in modo da far si che all’eventuale reazione popolare, venga messo un “bavaglio democratico”, in nome di una demagogica “riduzione numerica degli eletti nelle istituzioni”, ovvero una “riduzione sostanziale della partecipazione popolare alle scelte politiche, economiche e sociale dei territori, delle regioni e degli Stati”.
Si è arrivati a teorizzare anche in Sardegna, vedi i discorsi bi-partisan (CD e CS) fatti in quest’Aula e in Commissione Autonomia, che il numero inferiore dei consiglieri regionali è esso stesso sinonimo di efficienza, come se la produttività di ogni singolo consigliere fosse legata al numero degli eletti nelle istituzioni e non al suo impegno. Presidente, sarebbe importante che si facesse una verifica oltre che sulle presenze, anche sulla produttività politica di ogni consigliere.
In nessuna struttura, e ancor meno in quelle partecipative, si è rilevato che la riduzione del numero è direttamente proporzionale alla produttività.
La logica del taglio numerico, perfettamente in linea con l’esclusione dalla partecipazione alla vita democratica e alle istituzioni della stragrande maggioranza delle collettività, è sposata indifferentemente e congiuntamente, seppur con variazioni di lessico, dalla stragrande maggioranza di questa classe politica, allineata perfettamente a quella italiana e “degna nipote” di quei sardi che il 29 novembre del 1847 fecero la fusione perfetta e rinunciarono alla propria Sovranità istituzionale, chiedendo a Carlo Alberto di essere considerati a tutti gli effetti piemontesi. Sancendo con ciò giuridicamente e istituzionalmente la fine della Sovranità del Regno di Sardegna.
Anche oggi si sancisce l’esclusione violenta, ma legalizzata delle “minoranze politiche” che stranamente sono da sempre una peculiarità della storia e della cultura politica del Popolo sardo. Non mi stupirebbe che stando così le cose, questa stessa Aula, sotto ordine delle segreterie dei partiti italiani arrivasse, essa stessa, per non essere costretta, ad abrogare lo Statuto Speciale e quindi la stessa Autonomia Regionale. Già si sentono tintinnii di sciabole, è un golpe, come disse Pietro Nenni quando i conservatori e le destre cercarono di impedire la nazionalizzazione dei settori economici strategici in Italia.
Voglio ricordare a tutte le forze politiche presenti in Aula, che si sono espresse sulla nostra Sovranità come Popolo e come Nazione, che qui, visti i pronunciamenti, si dovrebbe legifera per agevolare il percorso di un Popolo che deve liberarsi dall’oppressione economico-coloniale, e che ha il diritto inalienabile ad esercitare la propria Sovranità, l’autogoverno e costruire il proprio cammino di Indipendenza. Invece, ancora una volta, anche sul tema così importante della democrazia, e della rappresentanza, si importano i diktat, i modelli e gli strumenti scelti dall’Italia e accettati passivamente e benevolmente dalla classe politica sarda. Con ciò dimostrando la propria sudditanza e la mancanza di qualsiasi forma di autonomia storica, culturale e politica.
Il “taglio alla democrazia” è ritenuto indispensabile, soprattutto in Sardegna, in quanto “in colonia” i conflitti assumono risvolti più aspri e gli inquilini del Palazzo non devono essere disturbati.
Intanto la disperazione serpeggia tra la nostra gente, depredata da Equitalia, a cui lo Stato italiano, in questi giorni ha affidato ancora più poteri per aggredire con maggiore violenza il nostro mondo agro-pastorale vittima di leggi regionali sballate e da un sistema del credito usuraio.
L’entità della crisi economica in Sardegna e l’acuirsi del livello di scontro tra lo Stato italiano e il Popolo sardo, può portare a inevitabili “rivolte popolari per il pane”, ecco perché il primo sistema di controllo è quello dell’abbattimento del livello di democrazia con l’avvio di un sistema sempre più oligarchico, autoreferenziale e incontrollabile specialmente sulle prebende, sprechi e ruberie (vedi ieri i pastori a Macomer sul Consorzio del latte), un sistema dove il conflitto sociale viene trattato come un problema di ordine pubblico, ovvero con la repressione militare. Vedi le manifestazioni dei pastori a Cagliari come a Civitavecchia, come alla Borsa di Milano, per non parlare dello sfratto forzato a Sa Terra Segada.
Parlare di riduzione dei costi della politica, ovvero dei privilegi della casta e della complessa “macchina regionale” fatta di Enti, di Agenzie, di strutture parassitarie incontrollabili, significa entrare in merito, oltre ai privilegi, agli sprechi, agli abusi e alle inefficienze delle varie amministrazioni pubbliche, che ricadono pesantemente sulle povere finanze delle collettività sostenute dalle imprese e dalle famiglie sempre più prostrate.
Perciò la riduzione drastica del 50% degli emolumenti ai consiglieri regionali, deve essere il primo atto di un processo globale di democrazia e di moralizzazione della politica.
La restituzione alla Politica “della gestione del bene comune” non può prescindere da questi processi. Questo è l’unico percorso per la restituzione della dignità a una classe politica sempre più screditata, auto-delegittimata e autoreferenziale.
Claudia Zuncheddu
Consigliera Regionale Indipendentistas
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